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More del gelso

 

Morus Nigra e Morus alba.  Esistono due varietà di gelso, quello nero e quello bianco. Sono alberi originari rispettivamente della Persia e della Cina. Il primo ha frutti rosso-neri che assomigliano a quelli del rovo e di sapore leggermente asprigno; il secondo ha frutti biancastri, tendenti al rosa antico, quando sono maturi, e dolci.

Il gelso nero, anticamente era coltivato per il suo frutto mangereccio, poi dalla fine del primo millennio la sua importanza si legò sempre più all'allevamento del baco da seta al quale forniva nutrimento tramite le foglie, affiancato poi e in gran parte sostituito dal gelso bianco verso la metà del '500. Fino a 60 anni fa ogni famiglia contadina della Vallarsa  allevava i bachi e quindi disponeva di un notevole numero di piante di gelso. I bachi (i cavaleri) venivano allevati in casa su dei graticci (arelini) ed i bossoli venivano conferiti al forno bossoli della SAV di Rovereto fino al 1956, anno in cui il forno fu chiuso per scarsità di prodotto. Attualmente sono ancora numerose le piante di gelso che resistono nei campi anche se non sono più potate ed i frutti non vengono raccolti.

Il noto botanico Mattioli  scriveva: "Il Moro  è di due spetie, bianco cioè, e nero, e sono così chiamati solamente dal colore de i frutti loro, ipperò che ve ne sono di neri, e di bianchi differenti non solamente di colore, ma di grandezza, e di sapore anchora. Il nero produce il frutto come il Rovo, ma più grande, e più lungo tutto ripieno d'un succhio, come sangue, il qual mangiandosi imbratta le mani, e la bocca. Questo prima è verde, e bianchiccio, crescendo diventa rosso, e maturandosi diventa nero. Il rosso è al sapore costrettivo, ma diventando nero diventa di forte maturo e dolce, che poco ò niente vi rimane dell'austero. Le More, quando son mature, solvono il corpo, e le immature secche lo ristagnano: e imperò utilmente s'accomodano nella dissenteria, ne i flussi stomachali, e in ogni altra fonte di flussi. è oltra ciò noto à ciascuno, che il succo delle mature è utile ne i medicamenti, che si compongono per lo stomaco, per la facultà costrettiva, che si ritrova in lui. Le More mangiate avanti al cibo, presto scendono dallo stomaco, facendo la via à i cibi, che vengono dopo loro, ma mangiate dopo al cibo, subito si corrompono insieme con esso. Il che fanno anchora, se quando si mangiano, ritrovano nello stomaco cattivi humori, ma non corrompendosi, inumidiscono il corpo, ne però lo rinfrescano, se non si mangiano ben rinfrescate. Danno pochissimo nutrimento, come fanno anchora i peponi; nondimeno non causano il vomito, ne son contrarie allo stomaco, come son quelli".

Pietro Andrea Mattioli (1500-1577) studiò medicina e fu il medico personale di Ferdinando e poi di Massimiliano II°. Esercitò la professione medica a Siena, a Roma, a Trento e a Gorizia.
Raggiunta una certa agiatezza economica con l´esercizio delle medicina, si ritirò dalla professione per dedicarsi interamente alle Scienze naturali, in particolare alla Botanica.
E´ uno dei più grandi fitografi del cinquecento, avendo riunito e coordinato tutte le conoscenze di botanica medica del suo tempo nei suoi celebri Commentari alla Materia Medica di Pedacio Dioscoride di Anazarbeo, nel quale sono descritte ed illustrate circa 1200 specie di piante d'uso medicinale.

 

 

 

 

 

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